Per un federalismo dei popoli

Il Manifesto di Ventotene fu scritto nel 1941 da Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi, confinati dal regime fascista, insieme a molti altri, sull’isola nel Tirreno.
Il documento, intitolato “Per un’Europa libera e unita”, era il frutto di una serie di discussioni intrattenute con gli altri compagni di sventura.
Il “Manifesto”, originariamente articolato in quattro capitoli, fu ridotto a tre da Eugenio Colorni, che ne curò la presentazione.
Altiero Spinelli elaborò il primo capitolo “La crisi della civiltà moderna” ed il secondo “Compiti del dopoguerra. L’unità europea”, unitamente alla seconda parte del terzo “Compiti del dopoguerra. La riforma della società”, la cui prima parte venne definita da Ernesto Rossi.
Ursula Hirschmann, Ada Rossi ed alcune altre donne, diffusero clandestinamente il Manifesto a Roma e Milano.
Gli estensori del Manifesto avevano ben presente il pensiero di Luigi Einaudi.
Questi, molto tempo prima, aveva infatti indirizzata a Luigi Albertini -direttore del «Corriere della Sera»- una lettera che venne pubblicata, a firma Junius, nel numero del 5 gennaio 1918, con la quale criticava il progetto della costituenda «Società delle Nazioni».
Scrisse allora Einaudi che gli Stati Uniti “Erano vissuti sotto due costituzioni: la prima del 1776, la seconda approvata dalla convenzione nazionale il 17 settembre 1787. Sotto la prima, l’unione minacciò ben presto di dissolversi; sotto la seconda gli Stati Uniti divennero giganti”.
E ciò in quanto “la prima parlava appunto di confederazione” e dichiarava che ogni Stato “conservava la sua sovranità, la sua libertà ed indipendenza ed ogni potere, giurisdizione e diritto non espressamente delegati al governo federale”.
La seconda Costituzione (1787), invece, non parlava più di “unione fra Stati sovrani”, non era più un accordo fra Governi indipendenti; ma derivava da un atto di volontà dell’intero popolo, il quale creava un nuovo Stato diverso e superiore agli antichi Stati.
Fu sostituito al “contratto”, all’”accordo” fra Stati sovrani per regolare “alcune” materie di interesse comune, un atto di sovranità del popolo americano tutto intero, per creare un nuovo Stato.
Continuava Einaudi: “Oggi, vi è in Italia un gruppo di giovani, temprati alla dura scuola della galera e del confino nelle isole, il quale è deliberato a mettere il problema della federazione in testa a tutti quelli i quali debbono essere discussi nel nostro paese. Non senza viva commozione ricevetti, durante i lunghi trascorsi anni oscuri, una lettera scrittami dal carcere da Ernesto Rossi, nella quale mi si ricordava l’antica mia lettera e mi si diceva il suo deliberato proposito di voler operare per tradurre in realtà l’idea federalistica. L’opera sinora si è forzatamente limitata, dentro e fuor del confino”.
A questo punto Einaudi fa una professione di fede.
È la fede in un federalismo dei popoli che non difende nessuna tesi che possa andare a vantaggio di alcun paese egemonico “La via sarà tribolata e irta di spine; né la mèta potrà essere raggiunta d’un tratto”.
Non sarà un’impresa gloriosa. “Quel che importa è che la mèta finale sia veduta chiaramente e si intenda strenuamente raggiungerla”.
Secondo Einaudi, il principio dello Stato sovrano è il nemico numero uno della civiltà, il fomentatore pericoloso dei nazionalismi e delle conquiste.
Il concetto dello Stato sovrano, dello Stato che, entro i suoi limiti territoriali, può fare leggi, senza badare a quel che accade fuor di quei limiti, è oggi anacronistico ed è falso.
Quel concetto è un idolo della mente giuridica formale e non corrisponde ad alcuna realtà.

Luigi Milazzi 33°
Past Sovrano Gran Commendatore del RSAA

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