Il SGC, Luigi Milazzi, ha partecipato, sabato 10 novembre 2012, alla Festa del Rito in Sardegna, presso la Casa Massonica di Sassari. Il Programma dei lavori prevedeva la cerimonia di insediamento dei Dignitari e Ufficiali eletti della Sezione Concistoriale Regionale “Mario Giglio” alla presenza del LSGC, Flavio Balestrero, presidente del Sublime Concistoro Nazionale. Successivamente sono stati aperti ritualmente i lavori in IV Grado con la partecipazione di tutti i Fratelli convenuti ed è stato ricevuto il SGC insieme ai Membri attivi del Supremo Consiglio: il LSGC, Flavio Balestrero, il Gran Priore, Giuseppe Bertulu, il Gran Segretario Gran Cancelliere, Leo Taroni, il Grande Oratore Ministro di Stato, Andrea Roselli . Dopo il saluto dell’Ispettore Regionale è stata presentata una tavola sul tema “Libertà e Dovere”, cui sono seguiti numerosi interventi. Il SGC ha ringraziato l’Ispettore Regionale per l’invito e per l’accoglienza e i Fratelli di ogni Grado e Dignità per la loro partecipazione, complimentandosi soprattutto per l’interesse della tavola presentata e dei contributi offerti dagli altri interventi. Ha voluto quindi esprimere il suo pensiero al riguardo con il seguente discorso:
“ La decisione di trattare in questa Festa del Rito della Sardegna il tema “Libertà e dovere” richiama alla memoria l’ istruzione rituale del IV Grado, secondo i rituali francesi del XIX secolo..
D.-Où avez-vous été reçu Maître Secret?
R.-Sous le laurier e l’olivier.
D.-Que reprèsentent ces symboles ?
R.-Le laurier est l’emblème de la victoire que j’espère de remporter sur moi-même à la suite de mes efforts dans la poursuite du Devoir. L’olivier symbolise la fécondité de la paix qui suit cette victoire.
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D.-Q’avez- vous fait au cours de votre initiation au quatrième degré?
R.-On m’a fait voiyager
D.-Que cherchiez-vous au cours de vos voyages?
R.-La Verité et la Parole Perdue
D.-Que signifient ces mots emblématiques?
R.-La Verité est la lumière placée a la portée de tout homme qui veut ouvrir les Yuex et regarder la grande route du Devoir qui y sûrement. La Parole Perdue est la connaisence du Devoir complet connu des anciens Initiés.
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Libertà e dovere, dove la libertà non può limitarsi a una semplice enunciazione teorica, a un astratto diritto, ma deve sempre accompagnarsi ad una assunzione di responsabilità. Anzi la parola libertà, portata avanti come una bandiera, come un’espressione enfatica e retorica, avvilisce un concetto tanto nobile e alto, e può anche trasformarsi in un mito pericoloso, nel desiderio puerile di fare tutto ciò che piace senza dover mai rispondere delle proprie azioni. A nulla vale essere liberi da qualche cosa se non si pone la libertà a servizio di qualcos’altro, se il diritto alla libertà non coincide con la libertà come dovere. Ecco che allora il binomio libertà e dovere assume un valore in quanto la libertà può essere invocata a viso aperto di chi sa comportarsi da uomo libero e maturo, accettando il peso che può anche non essere lieve della propria libertà, di chi ha il coraggio morale e civile di affrontare le responsabilità delle proprie azioni. Pensiamo ai nostri Fratelli che durante il Risorgimento si sono battuti per la indipendenza e la libertà della patria, pagando di persona nelle carceri, sul patibolo per questa scelta di libertà.
La libertà può comportare il rifiuto di obbedienza, quando ciò rappresenta un più alto valore morale, quando lo si compie in ossequio a una legge più universale e più alta, pensiamo all’esempio di Antigone che, come narra Sofocle, disobbedendo all’imposizione di Creonte re di Tebe provvede a seppellire il corpo del fratello Polinice, ucciso in un duello con Eteocle, perché una legge più alta impone di dare sepoltura ai morti; all’esempio dei neri dell’Amistad (1839) che nati liberi e resi schiavi si rivoltano contro i loro negrieri e questa libertà di ribellione sarà riconosciuta dalla Corte Suprema degli Stati Uniti come un diritto di chi nato libero si rivolta contro chi lo ha reso schiavo. La disobbedienza alle leggi diviene come ci ha insegnato Socrate, una più radicale e consapevole obbedienza.
L’etica della libertà è anch’essa un’etica dell’obbedienza, vincolata da precise norme giuridiche e morali che regolano i nostri comportamenti e devono indicare quale uso della libertà è legittimo e quale no. L’etica della libertà, che con un termine non più di moda si richiama alla virtù, è pure l’etica dei diritti che possono diventare arbitrio quando non si accompagnano all’etica dei doveri. E di ciò era cosciente Giuseppe Mazzini quando scrisse dei “Doveri dell’uomo” e non dei diritti ben consapevole che senza una precisa coscienza dei propri doveri, senza mai dover rispondere delle proprie azioni l’uomo non è più un uomo libero, ma sarà schiavo dei suoi desideri, delle sue passioni, delle situazioni e delle persone da cui dipende il suo piacere.
“La Verità, come ricorda il Rituale è la luce posta alla portata di ogni uomo che voglia aprire gli occhi e guardare la grande strada sicura che conduce al Dovere”.
Poiché siamo in terra di Sardegna dove regnò Enzo, figlio del grade imperatore Federico II, della Casa di Svevia, e cognato di Ezzelino da Romano, signore della Marca Trevigiana e alleato dell’imperatore, può essere interessante sottolineare lo stretto rapporto tra libertà e dovere concludendo con un aneddoto L’ episodio rivela non solo un tratto dell’eccezionale carattere dell’uomo, Ezzelino, ma anche della sua visione politica, tant’è vero che se Ezzelino da Romano restò sempre, fermamente, convinto e fedele sostenitore della causa imperiale, egli non fu mai servile, né tanto meno imbelle, nei confronti dell’Imperatore.
Si racconta infatti nel Novellino, che un giorno Ezzelino e Federico uscirono a passeggiare con le loro scorte al seguito. Discutendo, i due uomini politici iniziarono a confrontarsi su un tema piuttosto frivolo, cioè chi dei due possedesse la spada più bella.
L’imperatore trasse dal fodero la sua preziosa arma, ornatissima e splendida, vantando la qualità della lavorazione e la ricercatezza dei dettagli in oro e pietre. Ezzelino, allora, riconobbe la bellezza della spada dell’imperatore, ma ribatté che la sua era migliore: «Molto è bella – disse Ezzelino –, ma la mia è assai più bella» e così dicendo sfoderò con impeto la sua arma, puntandola verso il sovrano. Al suo gesto seicento suoi soldati fecero lo stesso. Il grande Federico, splendore del mondo, dovette allora riconoscere, forse anche un po’ intimorito, che l’arma di Ezzelino “ben era la più bella”.
10 novembre 2012