Di recente ho ripreso in mano un interessante saggio di Lino Sacchi, “La fine del mondo e altri accidenti – Un punto di vista massonico”, su un tema sempre di grande attualità anche se poco ricordato, e quando è ricordato, tutti fanno i debiti scongiuri. L’Autore ha fatto la cortesia con attenzione fraterna di inviarmelo ancor prima che uscisse per le stampe. L’avevo letto con intenso piacere sia per l’originalità dell’impostazione, sia per la ricchezza di un’erudizione sparsa con elegante leggerezza, tanto di ripromettermi di non archiviarlo tra i libri letti, ma di tenermelo vicino come utile strumento di riflessione e lavoro.
I vecchi di casa mia usavano dire che la fine del mondo si compie per chi muore e, se giovane, aggiungevano, per consolazione, che doveva essere amato dagli dei. Che il nostro mondo finirà lo sappiamo tutti, almeno di ciò ci assicurano gli astrofisici con dovizia di particolari, e Shakespeare senza possedere i loro strumenti lo aveva già previsto in indimenticabili versi quattrocento anni fa:
E come questa rappresentazione
– un edificio senza fondamenta –
così l’immenso globo della terra,
con le sue torri ammantate di nubi,
le sue ricche magioni, i sacri templi
e tutto quello che vi si contiene
è destinato al suo dissolvimento;
e al pari di quell’incorporea scena
che abbiam visto dissolversi poc’anzi,
non lascerà di sé nessuna traccia.
Siamo fatti anche noi della materia
di cui son fatti i sogni;
e nello spazio e nel tempo d’un sogno
è racchiusa la nostra breve vita.
(La Tempesta)
In verità non ci preoccupa la fine di questo nostro pianeta, ma ci preoccupano i segni e i fenomeni apocalittici che potrebbero precedere la fine della nostra avventura umana, il dissolvimento senza che resti alcuna traccia delle enormi ricchezze immateriali che l’uomo attraverso dure prove, cadute e riprese, ha saputo creare dal nulla e raccogliere negli immensi granai della memoria collettiva della specie. Ci preoccupa l’annichilimento di quella società dello spirito che è la nostra unica, vera, grande conquista, ci angoscia l’idea che sia fatta della stessa materia di cui sono fatti i sogni.
Anche se le nostre vite sono racchiuse nello spazio e nel tempo di un sogno, esse sono state per nostra scelta illuminate da una Tradizione che pone al centro il lavoro. Possiamo essere umili scalpellini nel cantiere di una cattedrale, oppure umili operai nella vigna del Signore, ma sappiamo che la nostra opera, superando i limiti delle nostre soggettività, è illuminata dalla saggezza, irradiata dalla bellezza e resa salda dalla forza.
Luigi Milazzi 33° PSGC