Il copista medievale giunto al termine della sua fatica nella grande biblioteca dell’abbazia, apponeva al testo che aveva appena vergato con tanta cura e diligenza, un saluto, un addio che lo avrebbe accompagnato per sempre: «Pace a colui che ha scritto e a chi legge. Pace a coloro che amano il Signore in semplicità di cuore».
In quest’antica formula sono accostati due concetti fondamentali la pace e l’amore, che ritroviamo accumunati nel pensiero del Mahatma Gandhi: «il giorno in cui il potere dell’amore supererà l’amore per il potere il mondo scoprirà la pace». Il prossimo 30 gennaio ricorrerà il 68° anniversario della sua tragica scomparsa. Eroe di una grande nobile causa per la quale era disposto anche a offrire il proprio sacrificio. La data è ricordata in molte scuole di tutto il mondo per un’iniziativa indipendente non governativa partita dalla Spagna nel 1964 per un’educazione non violenta e pacificatrice.
Mentre la guerra si fa ogni giorno, anche se fino a ieri, prima degli attacchi terroristici nelle grandi città europee, ne eravamo forse un po’ inconsapevoli, perché una cosa è vederla attraverso i telegiornali, che mandano in onda sempre gli stessi spezzoni di vecchi filmati, un’altra è sentire il ticchettio del kalashnikov, il boato delle esplosioni, l’odore acre della polvere da sparo e mi fermo qui. Altro è sapere che ciò potrebbe ripetersi anche nelle nostre città.
Come amava ripetere il nostro S. G. C. Manlio, ufficiale della Julia nella Seconda guerra mondiale, «la pace è un inevitabile temporaneo intervallo in attesa della prossima guerra», ma lui che la guerra l’aveva fatta preferiva la pace. Concludeva con una nota pessimistica: «Evidentemente sono fuori del tempo. Il passato, il presente, il futuro appartengono ai guerrafondai».
Infatti, sono tanti a non volere la pace, l’ha detto recentemente Papa Bergoglio parlando ai bambini delle scuole primarie di Roma, ponendo l’accento sulla cupidigia, sul desiderio di avere sempre di più, sempre più denaro. Il nostro sistema economico privilegia il profitto a tutti i costi e gira attorno al denaro non intorno alle persone, uomini e donne: si sacrifica tanto e si fa la guerra per difendere il denaro. «Si guadagna di più con la guerra! Si guadagnano i soldi, ma si perdono le vite, si perde la cultura, si perde l’educazione e tante altre cose».
Il concetto di pace e di pacifismo dovette essere rivisto con la fine della guerra fredda che sembrava aprire a un futuro senza il terrore dello scontro fra le grandi potenze, senza vivere crisi come quella di Cuba sul filo del rasoio. Allora finirono in soffitta le grandi strategie politiche e militari del passato, ma si dovettero rivedere pure tante forme di pacifismo. Non furono più le divergenze fra potenze grandi e piccole a giocare un ruolo decisivo. Non potevano più i governi e le loro cancellerie tenere tutte le situazioni sotto controllo, come avveniva un tempo quando le crisi erano regolarmente precedute o seguite da sottili azioni diplomati, che che sfociavano poi nella stipulazione di accordi e nella firma di trattati.
Oggi, almeno la metà dei conflitti in atto, hanno origini etniche e quindi è necessario, per influire sulle cause, agire avendo sempre ben presente, come ricordava a suo tempo il presidente della Commissione europea, Jacque Delors, che l’uomo è dotato dell’istinto della sopravvivenza, ma non possiede certo quello della convivenza. Vivere con gli altri è una conquista culturale e dunque la capacità di vivere insieme e quindi la pace riposano su una grande operazione culturale. E’ necessario però non sottovalutare le conseguenze economiche della globalizzazione, che hanno accresciuto l’ineguaglianza, l’ingiustizia e la povertà per milioni di persone creando il terreno favorevole per chi cerca di incendiare il mondo con la guerra magari puntando sul fanatismo religioso e sull’odio razziale.
Anche, se come sosteneva Delors uomini e donne non hanno l’istinto della convivenza, ma è frutto di una crescita culturale, nessuna persona umana, nessuna nazione, nessun gruppo sociale è inevitabilmente guerriero. Le frustrazioni e i contrasti d’interesse che sono alla radice delle guerre possono essere ridotti e indirizzati diversamente, come ad esempio contro gli ostacoli che impediscono lo sviluppo economico e sociale. Quando le cose sembrano non andare per il verso giusto, l’uomo tende ad addossare le responsabilità alla società oppure a poteri superiori che vogliono decidere del futuro di tutti. Invece ciascuno di noi deve assumersi le proprie responsabilità e la parte di lavoro che gli spetta per opporsi alla guerra, trasformandosi in un costruttore di pace. Gandhi ha dimostrato che la forza di un singolo individuo può diventare la forza di un popolo intero perché la pace è legata alla crescita della coscienza umana e può nascere solo dall’impegno unitario di tutti gli uomini.
Il concetto di pace va posto al centro di un vastissimo campo di ricerche, e va inteso in senso dinamico, come tensione verso società più giuste, dove con mezzi non violenti siano eliminati via via tutti quegli aspetti negativi del nostro sistema economico e sociale che accrescono l’ineguaglianza, l’ingiustizia e la povertà per milioni di persone in tutto il mondo.
La riflessione su cui meditare è: Amore universale, non-violenza e pace. L’amore universale è meglio che l’egoismo, la non-violenza è meglio che la violenza e la pace è meglio che la guerra.
Il nostro Fratello Giovanni Pascoli ci ha lasciato al riguardo dei bellissimi versi:
«Pace, fratelli! e fate che le braccia / ch’ora o poi tenderete ai più vicini, /non sappiano la lotta e la minaccia.»
(I due fanciulli)
Luigi Milazzi 33° MA Past SGC