Convegno “Manlio Cecovini, scrittore, politico, massone, e uomo di cultura”

Trieste, 13 ottobre 2015

Il Circolo della Cultura e delle Arti di Trieste insieme al Rotary Club hanno voluto dedicare un convegno a Manlio Cecovini, scrittore, politico, massone, e uomo di cultura, nella ricorrenza del V anniversario della scomparsa. La manifestazione si è svolta martedì 13 ottobre nella sala conferenze del Civico Museo Sartorio di Trieste, in una villa settecentesca, donata alla città dalla famiglia Sartorio, che custodisce arredi ed oggetti d’epoca, ceramiche, biblioteca, raccolte di quadri, disegni di Giambattista Tiepolo. Dopo i saluti di Gianfranco Guarnieri, presidente del Circolo della cultura e delle arti, e di Sergio Cecovini, presidente del Rotay Club Trieste, sono intervenuti Cristina Benussi, già preside della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Trieste e Delegata del Rettore per i rapporti culturali con il territorio e gli eventi culturali, Roberto Spazzali, storico del Novecento nella Venezia Giulia, Gino Pavan, architetto consulente per i Beni Culturali e presidente della Società di Minerva, e Luigi Milazzi, presidente del Centro Studi Manlio Cecovini

Riportiamo qui di seguito il testo della conversazione tenuta in quest’occasione dal nostro Sovrano Gran Commendatore Luigi Milazzi, su Manlio Cecovini uomo libero e di buoni costumi:

“Manlio Cecovini è stato anche membro attivo della Massoneria, a livello locale, nazionale e internazionale. Per dieci anni ha retto la giurisdizione italiana del Rito Scozzese Antico e Accettato, ed è stato insignito delle qualifiche di Sovrano Gran Commendatore onorario e di Gran Maestro onorario a vita del Grande Oriente d’Italia.
Parlare di Cecovini massone è relativamente facile perché non solo ha sempre dichiarato la sua appartenenza al Grande Oriente d’Italia, ma ne ha scritto spesso nei suoi libri e ha ricoperto incarichi di rilievo sia nella Massoneria di base sia nel Rito Scozzese per cui in nessun caso quest’appartenenza poteva sfuggire all’attenzione dell’opinione pubblica.
E’ stato iniziato a Trieste nel 1949, subito dopo la guerra, come racconta in Testimoni del Caos, «era il tempo d’incontri inconsueti, di nuove conoscenze, un bisogno in tutti, chiuso il capitolo angoscioso della guerra, di ritrovare nella certezza di nuovi interessi e speranze, la giustificazione del vivere quotidiano».
Cecovini cominciò a frequentare la sede del partito Repubblicano in via delle Zudecche, perché nel PRI erano confluiti a Trieste gli iscritti al disciolto Partito d’Azione. Fu l’inizio di «nuovi contatti, nuove conoscenze, interminabili discussioni che prendevano a volte intere nottate. Duilio Magris il padre dello scrittore Claudio – poi asceso a fama nazionale -, Michele Miani, Giovanni Paladin – anche questo padre di un figlio divenuto famoso, il giurista e presidente della Corte Costituzionale, Livio, Marcello Vidali, Ugo Volli…quanti nomi, quanti volti, quanti caratteri! ». Al tavolo della presidenza sedeva spesso Giulio Gratton, che «parlava distaccato, professorale, senza mai accalorarsi, col tono di uno che ha alta coscienza di sé e minore degli altri».
Gratton era stato membro della delegazione triestina che aveva accompagnato quella italiana alla Conferenza di Parigi, e autore di un pamphlet in cui illustrava le condizioni storiche politiche della città e nel 1947 aveva pubblicato un’opera di grande mole, Origine ed evoluzione dei partiti politici. Subito dopo uscì con l’editore Cappelli, Trieste segreta, che sorprese e incuriosì un po’ tutti per il titolo e per la copertina sulla quale apparivano accanto al tricolore e alla bandiera alabardata simboli massonici. L’opera come scrisse Cecovini, «rivelava d’un tratto un nuovo aspetto della complessa personalità del dottor Gratton, membro informato e influente della Massoneria, la misteriosa società (o setta, o cospirazione) che i vecchi ricordavano potente in città prima del fascismo e qualcuno dei giovani associava tuttora nella memoria a un episodio di violenza e disordine vissuto ventitré anni prima quando le squadracce fasciste ne avevano devastata la sede…devastandone il mobilio e bruciando gli archivi sulla pubblica piazza, …».
La Massoneria sciolta da Mussolini il 19 aprile 1925, rinacque alla fine della guerra quando gli italiani riacquistarono la libertà di pensiero e di opinione e anche a Trieste si cominciarono a tirare le file e Gratton era stato uno degli artefici più attivi e con il suo libro, come giustamente annotò Cecovini, volle proporre alla coscienza di tanti ignari un capitolo meno noto di storia civica, ma anche, insieme, un problema morale. L’edizione fu presto esaurita e qualche copia si poteva trovare nelle librerie antiquarie e nei mercatini, tanto che Cecovini decise di farne una riedizione a quarant’anni di distanza arricchita di un suo saggio introduttivo.
Subito dopo la Seconda guerra mondiale sia a Trieste sia a Pola, furono riaperte le logge massoniche. A Trieste risorse la storica Loggia Alpi Giulie, già presieduta da Felice Venezian, che aveva operato segretamente tra 800 e 900 sotto il governo austriaco per favorire la congiunzione della città all’Italia, e riprese l’attività la loggia Guglielmo Oberdan, fondata nel 1918 subito dopo l’arrivo delle truppe italiane a Trieste. La loggia Alpi Giulie, di cui farà parte Cecovini ben presto raccolse in sé anche i membri di altre Logge che nel frattempo erano sorte al suo fianco. A Pola sorse la loggia Arena che durò solo per i due brevi anni, durante i quali la città fu occupata dagli Anglo-americani, poi dovette trasferirsi a Trieste fondendosi con la Alpi Giulie.
Nel 1947 era stato deciso in pieno accordo con il Grande oriente d’Italia di creare una Gran Loggia del cosi detto Territorio Libero di Trieste, che, all’entrata in vigore dell’infausto trattato di Pace, occupò dal punto di vista massonico il territorio, impedendo il progetto, nutrito dagli Anglo-americani, di costituire a Trieste una Gran Loggia, utilizzando le logge già castrensi da loro fondate con autorizzazioni, bolle nella terminologia massonica, di logge inglesi o americane. La costituzione della Gran Loggia del T.L.T., cui la Alpi Giulie dette, insieme alle logge consorelle, un importante contributo, rese impossibile la realizzazione del temuto progetto, che avrebbe attuato a Trieste una organizzazione massonica sostanzialmente antinazionale, per di più riconosciuta delle maggiori e più autorevoli potenze massoniche del mondo. Alla Guida di questa Gran Loggia si succedettero Fernando Gandusio e Giulio Gratton fino al suo trasferimento in Argentina nel 1950, quando gli subentrò nell’incarico Marino Lapenna.
Finito il momento critico, quando ormai si stava per ristabilire a Trieste la sovranità e l’amministrazione italiana, la così detta Gran Loggia del T.L.T. si sciolse, il 21 marzo 1953, e le sue logge tornarono a confluire formalmente nel loro naturale ambito del Grande Oriente. Fu chiaro che si trattò di una operazione dettata dalle necessità contingenti della realtà triestina come volle rilevare il Gran Maestro del G.O.I., Ugo Lenzi, rivolgendosi a Lapenna nella seduta di Gran Loggia del dicembre 1951. In tale occasione Lenzi volle pure affermare l’intensa attenzione della Massoneria Italiana per il destino dei fratelli triestini.
Accanto alla Gran Loggia del Territorio Libero, in perfetta simmetria con la situazione nazionale, era stato creato a Trieste pure un Supremo Consiglio del 33° e ultimo grado, che provvide allora al suo autoscioglimento per consentire ai Fratelli di rientrare nel Rito Scozzese d’Italia.
In questo periodo Manlio Cecovini frequentava regolarmente la sua Loggia, di cui è stato più volte Maestro Venerabile e nel 1956 fu ricevuto al 4° Grado del Rito Scozzese Antico e Accettato dove completerà il cursus honorum fino al raggiungimento del massimo grado e alla elezione nel 1972 nella Giunta amministrativa del Supremo Consiglio, che è l’organo nazionale di governo del Rito Scozzese.
E’ necessario chiarire prima di procedere nel nostro racconto quale sia la storia e i rapporti esistenti tra la Grande Loggia e i Riti dalla stessa riconosciuti, tra i quali riveste notevole importanza in Italia e nel mondo il Rito Scozzese Antico e Accettato.
La Grande Loggia, che in Italia nasce con il nome di Grande Oriente, sul modello francese, è un’ associazione gradualistica dove il termine grado indica la posizione che un Fratello occupa nella gerarchia dell’istituzione. I gradi sono tre, Apprendista, compagno e maestro, e sono detti simbolici o azzurri. Mentre questi primi tre gradi rappresentano la parte essenziale della massoneria, i Riti rappresentano corpi massonici del tutto autonomi che aiutano i Fratelli a maturare particolari vocazioni: come approfondire i temi ritualistici, storici, affrontare problemi filosofici, etici e così via. Fondamentale è che in tutto il mondo esiste la massoneria, ma la stessa cosa non si può dire dei Riti e che comunque la massoneria di base è la conditio sine qua non perché esistano i riti.
Per quanto riguarda invece le logge dei primi tre gradi «Vi è la prova documentale dell’esistenza della massoneria simbolica in Italia sin dal 1733, quando la Gran Loggia d’Inghilterra concesse la bolla di fondazione a una loggia di Firenze, allora capitale del Granducato di Toscana.». (Cecovini, La Massoneria in Italia). La matrice inglese e la prevalenza degli Hannover che intendevano usare le logge italiane loro fedeli per i fini di una diplomazia segreta in danno degli Stuart mise in sospetto la massoneria presso la Chiesa di Roma che la giudicò un pericoloso strumento di propaganda anticattolica, da ciò la condanna il 24 aprile 1738 con la costituzione apostolica “In eminenti”. La persecuzione lungi dallo scoraggiare, contribuì a consolidare i massoni italiani nel loro proposito: «A tal segno che quando bel 1796 l’armata napoleonica occupò gran parte del territorio nazionale, il tempo era maturo perché sull’esempio di ciò che era già avvenuto in Francia, anche in Italia la Massoneria assumesse un ordinamento gerarchico. Fu così che il 16 marzo 1805 furono costituiti a Milano un Supremo Consiglio per l’Italia e una Gran Loggia Generale, denominata sulla falsariga Francese Grande Oriente d’Italia del Rito Scozzese Antico e Accettato». (Cecovini, La Massoneria in Italia).
Cecovini ha ricoperto importanti incarichi nel Grande Oriente, fu più volte a capo della sua Loggia e fu eletto nel Consiglio dell’Ordine l’organo presieduto dal Gran Maestro e costituito dai Rappresentati eletti a suffragio universale dalle circoscrizioni regionali, ma il suo maggiore impegno lo dedicò al Rito Scozzese di cui fu al vertice per ben nove anni e mezzo consecutivi. In un momento in cui erano sorte delle divergenze sui poteri dell’allora Capo del Rito, si produsse una crisi in seno al Supremo Consiglio, che fu risolta con la elezione di Manlio Cecovini a Sovrano Gran Commendatore. Egli, da giurista esperto quale era, diede immediatamente chiare direttive per la ripresa armonica delle attività, ispirando e determinando la più sicura condotta del Rito Scozzese Antico e Accettato in Italia, con il riconoscimento di tutti i Supremi Consigli esteri con i quali il Rito italiano era in stretti rapporti.
In questa veste egli ha rappresentato la Comunione scozzese italiana in Innumerevoli incontri e conferenze internazionali. Frutto di quest’opera e del prestigio raggiunto dal del Rito Scozzese italiano a livello internazionale fu la decisione di svolgere a Roma la XIX conferenza europea dei Sovrani Gran Commendatori d’Europa sotto la presidenza di Manlio Cecovini. La manifestazione si svolse con grande successo di partecipazione dal 26 al 28 maggio 1986 presenti i rappresentanti di Supremi Consigli di Austria, Belgio, Francia, Germania, Grecia, Iran, Israele, Olanda, Spagna Svizzera, Turchia, e delle Giurisdizioni Sud e Nord degli Stati Uniti. Tema della conferenza fu “Che cosa può fare il R.S.A.A. per facilitare l’edificazione dell’unione europea”.
Cecovini, che era stato membro del primo Parlamento Europeo dal 1979 al 1984, si richiamò in quell’occasione a quanto aveva detto Adenauer:
«l’Europa unita è stata un sogno di pochi, divenne la speranza di molti, oggi è una necessità, per sottolineare che sogno, speranza, necessità sono una progressione concettuale di cui non può sfuggire il significato a trent’anni dal primo atto costitutivo quando le difficoltà che restano da superare sono ancora enormi e la realtà attuale irta da tensioni, contraddizioni, tendenze centrifughe…».
Concluse il suo intervento rilevando l’impegno della Massoneria nella costruzione europea: «Essa non ha un potere profano: E’ una fraternità: non la predica, la vive: Ma proprio nel quadro di questa fraternità vissuta deve trovare la sua prima eco quello “spirito europeo” senza il quale l’Europa non si farà».
Dire Nottole ad Atene è come dire di fare cosa superflua, ma proprio così Cecovini ha voluto intitolare, la sua autobiografia, che può essere letta come un romanzo, un libro di storia, una raccolta di precetti di filosofia morale, un divertissement, pubblicata dall’indimenticabile editore Vanni Scheiwiller nel 1994. Si parla molto di Massoneria, della sua storia e dei suoi principi e anche di avvenimenti che hanno avuto a loro tempo grande risonanza in campo nazionale come le vicende della loggia massonica P2, che purtroppo hanno coinvolto il Grande Oriente d’Italia. Benché il Rito Scozzese fosse come istituzione del tutto estraneo alla vicenda, non facendone parte Licio Gelli, capo della loggia P2, e non amministrando al suo interno delle Logge, ma delle Camere rituali, era naturale che la Commissione parlamentare d’inchiesta sulla loggia, presieduta dall’on. Anselmi, volesse sentire pure il capo del Rito. Cecovini fu quindi convocato a Palazzo San Macuto, a pochi passi dalla sede nazionale del Rito Scozzese, per un’audizione.
L’episodio è ampliamente riportato in Nottole ad Atene e quindi non mi soffermerò, limitandomi a ricordare un particolare cui non avevo prestato a suo tempo particolare attenzione. Cecovini ricordò che nell’uscire dall’aula si sentiva mediamente soddisfatto completamente tranquillo, dopo aver risposto alle domande dell’Anselmi, ch’erano già predisposte dai segretari e lei si limitava a leggerle, e di alcuni altri membri della commissione, dei quali citò soltanto l’on. Mattarella che gli chiese quale differenza ci fosse tra loggia coperta e loggia riservata.
Conclusa l’audizione la Anselmi lo ringraziò e lo congedò con un cenno del capo. Si avviarono assieme agli ascensori dove apertasi la porta del primo Cecovini si ritrasse per lasciarla passare, ma, sua volta lei si fermò e lo invitò a scendere insieme. Cecovini aggiunge: «ancora un atto di cortesia e forse di rispetto per quella Massoneria di cui, attraverso le mie parole, spero avesse scopeto un ‘altra immagine».
Nel chiudere questo capitolo Cecovini volle sottolineare quali siano i veri fini della Massoneria che persegue unicamente il miglioramento dell’umanità, attraverso il miglioramento dei singoli, mediante la libera ricerca e il rispetto e la tolleranza per le idee e le verità degli altri. Per cui il Libero Muratore tenta di penetrare l’ignoto, di capire, di trascendere l’immanente, di sentirsi parte dell’intelligenza imponderabile che presiede l’universo.
Questi concetti ritornano nel suo carteggio con lo scrittore sloveno Alojz Rebula dove volle sottolineare come il suo essere laico non implicava né superficialità, né insensibilità, né indifferenza. Egli credeva fermamente nella tolleranza, nel rispetto delle altrui credenze e idee, tanto da scrivere a Rebula : «Lei è cattolico, penso osservante, non per questo le nostre idee generali sul fondamenti della vita morale devono necessariamente divergere». Più avanti osservò «La massoneria è stata per me ciò che per Lei (e in genere per i “credenti”) è la religione. Dove lei colloca “Dio”, io pongo il “principio regolatore”, racchiuso nel simbolo del “Grande Architetto dell’Universo”, che impone l’osservanza di regole morali non meno esigenti di quelle cattoliche. Comunque il credo cristiano presuppone la grazia, che – Lei mi insegna – non è una scelta dell’uomo, ma un dono di Dio ad alcuni uomini. Io sono fra i non scelti»
Cecovini si rese conto nel corso della corrispondenza che la sua posizione poteva essere interpretata come una posizione antireligiosa, che assolutamente non corrispondeva al suo pensiero e alla realtà massonica e riprese poi l’argomento per chiarire meglio il suo pensiero: «Non esiste un Dio massonico. La Massoneria non è una religione, è soggettivamente una filosofia di vita; oggettivamente un’associazione che si definisce iniziatica, impone ai suoi adepti la credenza in uno “Essere Supremo”, e perciò inibisce l’ingresso a chi si professi ateo, lasciando peraltro piena libertà a ciascun adepto di aderire a qualunque religione monoteistica anche di riconoscersi in quella religione naturale che alberga in quasi tutti gli uomini. In conformità a questi principi può entrare in Massoneria il cattolico come il mussulmano, il cristiano della riforma come l’ebreo». Cecovini sapeva bene che il grande tronco delle Massonerie anglosassoni interpreta il Grande Architetto dell’Universo come un Dio personale e che aprono le loro riunioni più solenni con una preghiera di un vescovo della Riforma, ritenendo perfettamente compatibili fra loro la dottrina cristiana e quella massonica, fondata sulla tolleranza. Volle sottolineare come la Massoneria non abbia mai pronunciato condanne contro la Chiesa cattolica che ha invece emesso più di duecento condanne formali, inserendo una scomunica addirittura ex iure in un articolo del codice canonico, oggi finalmente abrogato.
«Come può pensarsi che qualche singolo massone non si senta anticlericale?» – si chiese allora Cecovini.
Cecovini, uomo di grande intelligenza e personalità tanto da emergere ed essere riconosciuto come leader in tutti i campi in cui si è impegnato, è stato certamente un massone atipico, come risulta anche dal suo pensiero personale sul concetto di Dio più volte espresso nelle sue opere. La sua adesione ai principi e alla filosofia della massoneria è stata profonda e convinta, tanto da riflettersi in maniera esemplare sui suoi comportamenti, tanto da impegnarlo lungo tutto il corso della sua vita a spiegare che cosa è la Massoneria. E ciò perché non è conosciuta e si continuano «a nutrire fantasie, anziché soddisfare le legittime curiosità, ricorrendo alla consultazione delle molte pubblicazioni che ne parlano con serietà e competenza, opere di storici, di filosofi, di religiosi (anche cattolici)».
Ed è anche per continuare questa sua opera di diffusione della conoscenza sulla vera natura della Massoneria che abbiamo voluto dedicargli un Centro studi.”

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