Di fronte a questa nuovo dramma nel Canale di Sicilia che travolge persone in fuga dalla guerra, da condizioni di vita insopportabili, con la speranza nel cuore in un approdo sicuro, in cui poter ricominciare un’esistenza degna di questo nome, non ci sono parole da scrivere o pronunciare. Sono bambini, donne, uomini che hanno un volto, un nome, un’identità, che noi mai conosceremo e che concludono con la morte un viaggio lungo e penoso. Tutti seguiamo oggi con ansia i soccorritori che si prodigano per il salvataggio dei superstiti e il recupero dei corpi, siamo vicini alle nostre popolazioni che assistono a queste sciagure, ascoltiamo gli interventi accorati del Presidente della Repubblica e del Papa, ma poi c’è il timore che passato il momento dell’emergenza l’attenzione del mondo si distragga. C’è il pericolo che il ripetersi di queste tragedie determini un’insensibilità morale, che significa mancare di rispetto e noi stessi e al prossimo, e renderci complici inconsapevoli di questi delitti, senza giustificazioni che non siano la nostra inerzia e la nostra irresponsabilità.
Fra pochi giorni celebreremo il settantesimo anniversario della fine della Seconda guerra mondiale. Nasceva la speranza, sancita nella «Carta atlantica», di stabilire una pace tale da garantire a tutti i popoli una vita sicura e la possibilità di essere resi «liberi dal timore e dal bisogno» entro i loro confini. Era auspicato infine l’abbandono dell’uso della forza nelle controversie internazionali, il progressivo disarmo e l’istituzione di un nuovo sistema di sicurezza generale.
Forse settant’anni sono pochi per realizzare l’utopia della «Carta atlantica», inoltre da allora si è imposto alla coscienza dell’umanità il problema della disparità tra ricchi e poveri, ancora più evidente nelle nazioni economicamente sviluppate. Le condizioni in cui versa un gran numero di persone, milioni di bambini, di donne e di uomini che soffrono per la fame, l’insicurezza, l’emarginazione e le guerre, sono tali da offenderne la dignità e da compromettere l’armonico sviluppo della comunità mondiale e la pace stessa.
Può la Massoneria e il Rito Scozzese in particolare fare qualcosa, senza confondere i propri desideri, le proprie utopie con la realtà, per aggiornare questa speranza? Noi pensiamo che questo sia uno dei suoi compiti.
Gli emigranti
di Edmondo de Amicis (1882)
Cogli occhi spenti, con lo guancie cave,
Pallidi, in atto addolorato e grave,
Sorreggendo le donne affrante e smorte,
Ascendono la nave
Come s’ascende il palco de la morte.
E ognun sul petto trepido si serra
Tutto quel che possiede su la terra.
Altri un misero involto, altri un patito
Bimbo, che gli s’afferra
Al collo, dalle immense acque atterrito.
Salgono in lunga fila, umili e muti,
E sopra i volti appar bruni e sparuti
Umido ancora il desolato affanno
Degli estremi saluti
Dati ai monti che più non rivedranno.
Salgono, e ognuno la pupilla mesta
Sulla ricca e gentil Genova arresta,
Intento in atto di stupor profondo,
Come sopra una festa
Fisserebbe lo sguardo un moribondo.
Ammonticchiati là come giumenti
Sulla gelida prua morsa dai venti,
Migrano a terre inospiti e lontane;
Laceri e macilenti,
Varcano i mari per cercar del pane.
Traditi da un mercante menzognero,
Vanno, oggetto di scherno allo straniero,
Bestie da soma, dispregiati iloti,
Carne da cimitero,
Vanno a campar d’angoscia in lidi ignoti.
Vanno, ignari di tutto, ove li porta
La fame, in terre ove altra gente è morta;
Come il pezzente cieco o vagabondo
Erra di porta in porta,
Essi così vanno di mondo in mondo.
Vanno coi figli come un gran tesoro
Celando in petto una moneta d’oro,
Frutto segreto d’infiniti stonti,
E le donne con loro,
Istupidite martiri piangenti.
Pur nell’angoscia di quell’ultim’ora
Il suol che li rifiuta amano ancora;
L’amano ancora il maledetto suolo
Che i figli suoi divora,
Dove sudano mille e campa un solo.
E li han nel core in quei solenni istanti
I bei clivi di allegre acque sonanti,
E le chiesette candide, e i pacati
Laghi cinti di piante,
E i villaggi tranquilli ove son nati!
E ognuno forse sprigionando un grido,
Se lo potesse, tornerebbe al lido;
Tornerebbe a morir sopra i nativi
Monti, nel triste nido
Dove piangono i suoi vecchi malvivi.