Biotecnologia e Miglioramento Umano
Carissimi e Potentissimi Sovrani Gran Commendatori, Fratelli tutti nei vostri gradi e nelle vostre dignità, prima di iniziare a trattare il tema proposto, cioè Biotecnologia e miglioramento umano, consentitemi una breve ma necessaria premessa.
Uno tra i valori cardine della Libera Muratoria e del Rito Scozzese Antico ed Accetto, è la glorificazione del lavoro. Se lo riducessimo a questa prospettiva, il pensiero della nostra Istituzione sembrerebbe riecheggiare, almeno apparentemente, una certa retorica marxiana; la stessa che si trova a fondamento dell’istituzione della Giornata internazionale dei Lavoratori, decretata per la prima volta il 1° Maggio nel 1890, e oggi celebrata in molti Paesi del mondo.
Nonostante questa apparenza, e al di là di ogni semplicistica riduzione, il nostro concetto di Lavoro è però riferito a concetti e a valori profondamente diversi, poiché un’Istituzione Iniziatica non procede dalla stessa prospettiva di valori del modo profano.
Oggi, la cultura profana considera il lavoro tanto un obbligo morale, quanto una via, se non addirittura la principale e sola via per l’autorealizzazione individuale.
Al contrario, la prospettiva iniziatica, e la prospettiva Scozzese in particolare, considerano il lavoro materiale, e perciò esteriore, come un percorso al quale deve necessariamente corrispondere un piano di lavoro interiore, mirato a trasformare la potenza dell’individuo in atto.
Così come sul piano fisico il suono scaturisce dal silenzio, allo stesso modo, nella prospettiva iniziatica, l’azione materiale ha origine dall’azione immateriale, ovverosia dal piano della contemplazione, della consapevolezza e del lavoro interiore.
Sappiamo che, in antichità, la differenza tra medicina e filosofia non era così marcata come oggi: il filosofo e il medico avevano principi comuni alla base delle loro conoscenze, e pure agendo su piani distinti della realtà, erano tuttavia mossi da una comune coerenza.
Il tempo e l’assimilazione del concetto di progresso al valore di utilità, hanno progressivamente portato alla separazione profonda dei saperi che ha condotto, medici e filosofi, a muoversi in campi del tutto separati, oggi estranei l’uno all’altro, diversi e inconciliabili fra loro.
Nel tempo così particolare che stiamo vivendo, questa inconciliabilità non ha più ragione d’essere.
È vero che i progressi della Scienza hanno profondamente cambiato il nostro modo di essere e considerare le cose. È altresì vero che molte delle nostre vecchie convinzioni sono state giustamente rimosse. Ma tutto questo è avvenuto in modo tanto rapido che, come abbiamo in più occasioni recentemente visto, molti si pongono domande che restano senza risposta e si sentono isolati, esclusi, senza strumenti per avere una chiara comprensione di ciò che accade.
Oggi è soprattutto la percezione di questa distanza a generare insicurezze e timori. Nella percezione di questa distanza, ciò che ancor più disorienta è la sensazione che la Vita stessa sia, oggi, materia plasmabile nelle mani dell’uomo e dell’economia. Un tema, questo, di grande complessità, che resta ineludibilmente sullo sfondo di qualsiasi riflessione sul nostro comune futuro.
Da questo punto, fatta questa necessaria premessa, riprendo la trattazione del nostro tema.
Nonostante la sua apparente modernità, la biotecnologia è di fatto una disciplina antichissima. La Convenzione ONU sulla Diversità Biologica sottoscritta a Rio de Janeiro del 1992 (CBD), definisce infatti in questo modo qualsiasi applicazione tecnologica che utilizzi sistemi biologici, organismi viventi o loro derivati, per realizzare o modificare prodotti o processi per un uso specifico.
Secondo questa accezione, dobbiamo riconoscere che praticamente ogni vegetale e animale che oggi utilizziamo o consumiamo è prodotto di sapienti processi di ibridazione che hanno avuto inizio anche migliaia di anni fa.
Tuttavia, è bene comprendere che questa particolare prospettiva tecnica è fortemente condizionata dall’evoluzione dei nostri modelli di pensiero.
Ad esempio, se valutiamo la direzione e le conseguenze degli sforzi prodotti nell’antichità, dobbiamo evidentemente considerare che alcuni risultati siano stati casuali e altri voluti. Nonostante ciò, non possiamo omettere di rilevare che la direzione e il risultato atteso dagli sforzi rispondessero a criteri precisi, e in questo senso andrebbe anche considerato che l’uomo ha sempre considerato il tempo come uno degli strumenti utili a valutare e governare il proprio operato. I fatti mostrano che si è educato a considerarlo come un alleato quando si è resa necessaria una modifica dei processi, delle tecniche e degli interventi; nonostante la loro conduzione avvenisse su una scala di grandezza molto ridotta rispetto alle attuali.
Oggi, al contrario, il tempo è divenuto principio cardine dell’utilità economica, perciò fattore critico e rilevante in ogni processo, capace di determinarne il valore in modo assoluto, anche scollegato da altri parametri. Questo conduce ad utilizzare ogni risorsa che permetta di ridurre i tempi e massimizzare i risultati, anche a discapito, lo sappiamo bene, di corrette valutazioni relative agli impatti ambientali.
Consideriamo l’agricoltura per un piccolo esempio. Tutti sappiamo che è attualmente praticata la coltivazione di piante geneticamente modificate. Sappiamo anche che questa avviene senza che sia considerato obbligatorio o necessario l’isolamento dei coltivi.
Ora, se consideriamo necessario valutare i possibili effetti nocivi relativi al consumo di questi vegetali e dei loro derivati, dobbiamo anche considerare che il mancato isolamento rende impossibile impedire il flusso genico verso le adiacenti colture convenzionali. La diffusione di specie vegetali geneticamente modificate può perciò avvenire tramite impollinazione, con semi trasportati dal vento, dall’acqua o, anche, dalle deiezioni animali.
Al di là delle ipotesi di nocività, questo fenomeno rappresenta una seria minaccia per la biodiversità e un pericolo per l’ecosistema, che è risultato di equilibri la cui alterazione produce danni spesso irreversibili, che includono l’estinzione di specie e il progressivo ed inconvertibile impoverimento delle culture locali.
Con ciò non voglio evidentemente demonizzare le biotecnologie moderne. La loro applicazione ha certamente prodotto e produce numerosi vantaggi, tra i quali la possibilità di trasformare in coltivo aree altrimenti inutilizzabili, il ridotto utilizzo di acqua e pesticidi e l’incremento della quantità e qualità dei raccolti.
Tuttavia, ciò che ritengo necessario tenere sempre presente, soprattutto in riferimento alla particolare prospettiva dei valori Scozzesi, è che tutto il nostro lavoro deve essere al servizio dell’umanità intera, attuale e futura; e non solamente di una minoranza definita dal tempo dell’economia.
Come già ricordava Lucrezio, nel De rerum natura, il progresso è ineluttabile e insito nella natura umana: tuttavia, non deve essere mitizzato. Tutti riconosciamo i suoi vantaggi e benefici: ha liberato l’uomo dalla fatica bestiale, da molte malattie, e ha contribuito a migliorare le condizioni di vita; ma dobbiamo anche riconoscere che il progresso, da solo, non assicura la felicità. Al contrario, può anzi costituire un fattore di declino morale, distogliendo l’attenzione generale da quanto è realmente utile, indirizzando l’Uomo al vantaggio immediato, alla somma utilità e al superfluo, alimentando il più sterile edonismo.
È proprio questa confusione tra progresso e vantaggio, tra bene e utilità, a rendere in qualche modo pericoloso il potenziale delle tecniche biotecnologiche.
Sono attualmente in corso studio e sperimentazione avanzata, tecniche che consentiranno – così come è avvenuto per altri organismi viventi – di modificare il genoma umano.
È fuor di dubbio che queste ricerche mirino a risolvere numerosi e gravi problemi quali l’impatto delle patologie genetiche e a migliorare la nostra resistenza alle malattie, forse anche ad eliminare il cancro.
Va però ricordato che accanto a queste prospettive luminose se ne tracciano altre più inquietanti. Ad esempio, la possibilità di generare individui con caratteristiche specifiche partendo dalla manipolazione dell’embrione. Certo sono ipotesi che alle orecchie di molti suonano fantascientifiche, ma che tuttavia sarebbero tecnicamente realizzabili.
Inutile sottolineare quanto questo tipo di opportunità potrebbe stimolare le nostre vanità e costituire, al contempo, una fonte di guadagni rilevanti per coloro che possiedano la giusta tecnologia.
Non a caso quindi, proprio causa del costante sviluppo di queste capacità ed opportunità, la comunità scientifica ed internazionale dedicano sempre più attenzione ai temi della bioetica.
Il rinnovato confronto e dialogo su tematiche diverse e tra diverse prospettive costituisce, oggi, il nuovo trait d’union tra discipline scientifiche ed umanistiche, la ricostruzione moderna di ciò che un tempo permetteva al filosofo e al medico di operare coerentemente in prospettiva di un’idea di bene che era loro comune.
Oggi, l’obiettivo è dirimere le problematiche morali relative alla pratica scientifica – specialmente in ambito clinico – al fine di salvaguardare la dignità dell’uomo assicurando il rispetto per i valori e le convinzioni individuali.
La riflessione non è ovviamente nuova. In antichità esisteva un’etica medica di tradizione ippocratica, alla quale si collegava un’intera galassia di riflessioni morali, connesse ai principi propri alle diverse Religioni. Tuttavia, la velocità e la vastità dei progressi in questo particolare campo hanno reso necessaria l’istituzione di appositi comitati, luoghi e momenti di riflessione specializzata.
Ovviamente non vi è unicità di vedute in ambito bioetico; le prospettive sono molteplici e profondamente diverse fra loro. Si va dai sostenitori del più puro liberismo sino a coloro che chiedono di riferire l’intero campo ai principi della Religione.
Il panorama delle prospettive, come spesso accade quando si tratta del genio umano, va però anche oltre quello che per molti potrebbe essere considerato un limite ragionevole. Così non sarebbe corretto chiudere questa breve e certo non esaustiva carrellata senza menzionare coloro che propongono di clonare l’uomo per servirsene come banca di organi per trapianti; quelli che pensano a creare soldati geneticamente modificati o ibridi funzionali tra uomini e animali.
Come sempre, dobbiamo fare i conti anche con la parte peggiore del sogno del dottor Victor Frankenstein.
Ciò che emerge da questa breve disamina è che, in più di un modo, la velocità di sviluppo del pensiero scientifico sembra aver superato di gran lunga quella dello sviluppo morale.
Cosa possiamo fare noi Scozzesi?
Apparentemente, i tempi non giocano a nostro favore.
Il vento del Kali Yuga soffia e spoglia l’uomo della spiritualità, ormai considerata un retaggio inutile ed obsoleto. La nostra fiducia, sempre più riposta nell’apparente capacità di governare la materialità, ha creato un modello omologante nel quale ogni distinzione è ridotta al censo, nel quale la morale – cessata la sua funzione di regola – è spesso intesa come mero ostacolo. Così, mentre si determina la convinzione che la Scienza possa portarci il dono dell’onnipotenza, è necessario comprendere che questo dono può essere fonte di ebbrezza ed irresponsabilità.
In questo panorama noi Scozzesi abbiamo una precisa responsabilità, determinata dal fatto che gli Iniziati sono gli unici e autentici mediatori tra Cielo e Terra. Questa condizione è ben descritta nella Tabula Smaragdina:
Sale dalla Terra al Cielo e ridiscende dal Cielo alla Terra, ricevendo in tal guisa la virtù e l’efficacia delle cose superiori ed inferiori
È dunque la qualità Iniziatica – necessariamente reale e non semplicemente virtuale – a renderci capaci di lavorare sulla Tavola da Disegno. Da qui muove, nel prosieguo del nostro percorso, che è di di perfezionamento e perfezione, la nostra capacità di lavorare al Progetto del Grande Architetto dell’Universo.
Se è vero che il Massone, e quindi lo Scozzese, lavorano su sé stessi alla perenne ricerca della Luce, non lo fanno avendo uno scopo egoistico, poiché l’Iniziazione definisce una precisa responsabilità ed una consapevolezza: verso sé stessi, nei confronti dei Fratelli e, infine, nei riguardi dell’Umanità.
Da sempre, gli Iniziati si sono posti al servizio del genere umano supportando il suo sviluppo, e ancora oggi questo è il nostro compito. Per questo, entrando a far parte della Massoneria e poi del Rito Scozzese Antico ed Accettato, abbiamo assunto e poi confermato il nostro dovere a operare per il bene dell’umanità e alla gloria del Grande Architetto dell’Universo.
Sappiamo che il Rito Scozzese Antico ed Accettato si prefigge di preparare uomini che sappiano ingaggiare le sfide del tempo, della storia e della società. Non si tratta di una ricerca di potere; al contrario si tratta di una ricerca di responsabilità, di un’offerta di servizio. Per questo motivo, una volta pronti, è necessario uscire dai nostri Templi e vivere il nostro essere Scozzesi nella quotidianità e nel mondo per realizzare i nostri ideali.
Ovviamente, il bene dell’Umanità è un concetto estremamente difficile da definire, tanto per il filosofo quanto – lo abbiamo visto – per il medico.
Tuttavia, questa difficoltà non deve costituire un alibi per la nostra inerzia. L’insegnamento del Rito Scozzese Antico ed Accettato ci offre le direttrici necessarie ad evitare e superare questi potenziali pericoli e a riconoscere che, come insegnava Agostino d’Ippona, che la verità dorme nei nostri cuori:
Noli foras ire, in te ipsum redi, in interiore homine habitat veritas
Avendo così maturata la duplice consapevolezza di chi siamo e di cosa siamo chiamati a compiere, si giunge, lungo le vie del perfezionamento e della successiva perfezione, all’uso della Sapienza. Sappiamo che in filosofia, questo concetto appare assimilato a quello di Saggezza; qualcosa che superala dimensione della techné e descrive la capacità di valutare e comprendere le conseguenze del proprio agire.
Alla Sapienza dovrà aggiungersi la Bellezza, così come accade quando la Rosa si superpone alla Croce. La Bellezza può essere descritta in molti modi, ma nel mio sentire è essenzialmente Armonia: la sintesi di elementi eterogenei che uniti formano un’unità perfetta che li trascende. Così, ad esempio, è delle note musicali, che pur finite in sé stesse, consentono di comporre infinite melodie, ognuna delle quali comprende e trascende i suoi elementi costitutivi. Così è, allo stesso modo, del Bilanciamento che costituisce il fondamento dell’intero Universo e della nostra biosfera, oggi, continuamente turbato dalla mancanza di responsabilità degli uomini nelle cose che fanno e negli impegni che si assumono.
Infine, a Sapienza e Bellezza dovrà aggiungersi la Forza: la nostra capacità di realizzazione e concretezza, la nostra determinazione nel tenere fede ai nostri Princìpi. Gli Scozzesi non fanno discussioni inutili, fanno buon uso del tempo iniziatico, realizzano un progetto. Per quanto l’insegnamento del Rito sia trasmesso in forma simbolica, non di meno gli Scozzesi hanno sempre obiettivi reali, destinati a produrre valore nel tempo.
È dunque l’insieme organico di questi tre concetti a definire il nostro concetto di Lavoro. Per questo noi dobbiamo recuperare il nostro ruolo di guida e improntare le nostre azioni ad essere di esempio, perché è da questo che si riconoscono i Fratelli del Rito Scozzese Antico ed Accettato.
Agendo in questo modo, mantenendo coerenza a questi Princìpi, noi potremo allora dire di aver autenticamente svolto il nostro dovere nei confronti dell’Umanità e avere operato alla Gloria del Grande Architetto Dell’ Universo.