“Avremo pace vera, quando avremo gli Stati Uniti d’Europa”
150° Carlo Cattaneo
Gentili Signore, gentili Signori, Fratelli miei carissimi.
In occasione di questo Convegno che ha inteso riproporre, nella sua innegabile e cruciale attualità, il pensiero squisitamente federalista di Carlo Cattaneo, sono lieto ed onorato di porgere il mio personale saluto, in uno con quello del Supremo Consiglio del Rito Scozzese Antico ed Accettato per la Giurisdizione Massonica Italiana.
L’ottocentesca idea degli Stati Uniti d’Europa era stata per altro ripresa, nel 1901, dal Fratello Ernesto Nathan – Gran Maestro del Grande Oriente d’Italia e Sindaco di Roma – il quale, in occasione dell’inaugurazione della sede massonica di Palazzo Giustiniani, aveva affermato: “siamo pure il germe dei vagheggiati Stati Uniti d’Europa, e ritenendo insufficiente quel territorio, guardiamo più in là, oltrepassiamo i mari e, nei vincoli di fratellanza, abbracciamo quanti popoli civili abitano il globo”.
La levatura morale di Carlo Cattaneo e la sua costante coerenza con i principi laici e repubblicani lo hanno reso, nel tempo, uno degli alfieri dell’Idea in forza della quale la partecipazione alla vita della società, sia un fattore fondamentale nella formazione dell’individuo.
Questi, esercitando la propria razionalità ed avvalendosene, acquisisce contezza che il miglioramento delle condizioni di vita e delle strutture sociali e politiche possa aver luogo, esclusivamente, mediante il confronto collettivo.
Questa è la basilare e reciproca comparazione umana, da non confondere con una sterile competizione, costituendo tale comparazione il riconoscimento delle singole intelligenze finalizzate al bene comune.
In essa è insita la tolleranza, valore fondante di ogni consesso civile, assurto ad elemento costitutivo del Trinomio illuministico proprio dell’Istituzione Massonica e del Rito Scozzese.
Tolleranza, nella reciprocità e nella massima apertura mentale per l’acquisizione di nuove certezze che illuminino la costante ricerca della Verità.
La metodologia utilizzata da Carlo Cattaneo è essenzialmente basata sul federalismo: da quello delle menti dei singoli individui, a quello dei singoli Stati.
Grazie a tale metodica, i popoli possono gestire al meglio la propria partecipazione alla res publica, affermando che: “il popolo deve tenere le mani sulla propria libertà”.
Per la concretizzazione di tale principio, ciascun popolo non può e non deve delegare la propria Libertà, ad un altro distante ma soprattutto alieno dalle proprie aspettative sociali e politiche.
Per una valutazione del concetto di Stati Uniti d’Europa, ritengo sia necessario considerare se, nei vari Paesi che la compongono, sussista un principio identitario che non sia meramente geografico.
Sicuramente, la mia appartenenza al Rito Scozzese e l’assimilazione dei principi di fratellanza propri della Massoneria, agevolano l’accettazione e la comprensione dei movimenti politici che hanno portato alla costituzione della Comunità Europea, intesa questa come unità, sociale prima che giuridica.
Una federazione, appunto, con la propria identità.
Tuttavia, un’Europa, composta da molteplici ed eterogenei Enti nazionali è, oggi, una realtà che deve confrontarsi non solo con le loro innegabili peculiarità ma, anche, con gli imponenti e progressivi flussi migratori le cui nuove etnie, rischiano di accentuare il divario fra culture di popoli diversi, soprattutto per ancestrali tradizioni e ceppi linguistici.
A fronte di queste problematiche, sfruttate dai movimenti populistici che utilizzano la paura del diverso, non si può porre in discussione la necessaria esistenza dell’Unione Europea!
E pure non vi è chi non veda, come troppo spesso questa Unione Europea sia percepita quale inutile e burocratizzata sovrastruttura.
Non di meno, le determinazioni assunte a Bruxelles ed a Strasburgo, che tanto peso economico e politico riverberano nei vari Stati, sono percepite, nel migliore dei casi, come distanti, se non deleterie, per un proficuo sviluppo delle singole istanze socio – politiche nazionali.
Conseguentemente, oggi, più che mai, si appalesa la necessità di rivedere a fondo talune dinamiche.
Nell’evolversi degli scenari, anche l’Europa deve plasticamente adeguarsi alle nuove situazioni, affrontando le nuove sfide.
Per esemplificare, ricordo che l’Unione doganale, prefigurata sin dalla fondazione della CEE, fu costituita nel lontano1968.
Essa costituisce un concreto e quotidiano valore aggiunto che non può essere sottovalutato, specialmente in un’epoca, quale quella che stiamo vivendo, di spiccato neo protezionismo.
Superati gli orrori della guerra mondiale, i Padri costituenti ritenevano, giustamente, che l’abolizione delle barriere commerciali interne avrebbe, inizialmente avvicinate le economie dei Paesi membri e, successivamente e progressivamente, avrebbe contribuito, sul piano sociale, politico ed economico, alla costruzione di una “casa comune”.
In tale ottica, l’apertura delle dogane nell’ambito gli Stati aderenti alla Comunità Europea avrebbe agevolato i movimenti dei lavoratori, delle merci, dei capitali e dei servizi.
Nel contempo, le imprese europee ed i cittadini-consumatori sarebbero stati protetti da una “invasione sregolata” dei prodotti esteri, fatti salvi quelli ritenuti utili o necessari o, semplicemente appetibili dal mercato europeo.
Alla luce di queste considerazioni che investono non solo il passato ma anche il nostro futuro, ritengo che l’Europa debba ripartire da questo tipo di meccanismi.
E’ necessario riappropriarsi di quello spirito iniziale che si focalizzava sui benefici da apportare ai propri cittadini e non sull’essere un superstato che tende a disciplinare ogni minimo aspetto della produzione e della vita.
L’Italia, Paese costituente, deve recuperare il ruolo centrale assegnatole dalla Storia e anche dalla geografia.
Non dimentichiamo che proprio a Roma, nel 1952, fu sottoscritto il Trattato che istituì la Comunità Economica Europea.
Ritengo che il nostro Paese debba ritrovare il suo fattivo protagonismo, perché troppo spesso negli ultimi decenni abbiamo soltanto subito le decisioni assunte da una lontana Unione Europea.
In prospettiva, l’Italia deve avere la forza e la capacità di guidare i processi decisionali, non di inseguire, non di rincorrere altri Stati più attenti o, peggio ancora, più accorti politicamente.
L’isolazionismo arreca solo danni: dobbiamo dialogare, difendere le nostre posizioni con fermezza, essere in Europa per mutarla in meglio.
Il mio personale auspicio è che il Governo – superando vacui proclami e lo sbandieramento di battaglie populistiche – recuperi la giusta credibilità ed autorevolezza e si ponga quale punto di riferimento, quale era nei giorni di Ventotene ed in quelli di Roma: qui nacque l’Europa.
E’ oggi imprescindibile usare la forza degli argomenti, non la vana e vuota violenza della lite. Non il pericoloso utilizzo delle paure!
Concettualmente, il nostro essere Massoni non contempla sterili esibizioni ad uso e consumo della piazza ed in generale non riteniamo che la politica estera debba basarsi su sterili tatticismi volti ad ottenere consensi elettorali.
Dobbiamo invece, far rivivere nella mente e nel cuore delle nuove generazioni le sfide costruttive di Alcide De Gasperi, di Schumann, di Monnet, di Adenauer, di Spinelli, di Paul Henri Spaak.
Sono state idee che hanno dato vita al secolo scorso!
Sono state idee che hanno attualizzato quelle di Cattaneo quando affermava che “la società è un fatto naturale, primitivo, necessario, permanente, universale…”; e che è sempre esistito un “federalismo delle intelligenze umane”.
Queste idee, concepite ben centocinquanta anni orsono, permangono vive e necessarie nella nostra quotidianità.
Solbiate Olona, 18 maggio 2019
Leo Taroni, 33° SGC