Lecce 24 novembre 2017
Tavola Rotonda sul tema
“Dall’immigrazione all’accoglienza passando per lo Ius Soli”
Promossa dall’Ispettorato Regionale di Puglia e Lucania, con il patrocinio della Provincia e del Comune di Lecce, la Camera Capitolare “Giosue’ Carducci” all’Oriente di Lecce, ha organizzata una Tavola Rotonda sul tema: “Dall’Immigrazione all’Accoglienza, passando per lo ius soli”.
Ai lavori, svoltisi presso l’Auditorium Museo Provinciale Sigismondo Castromediano, hanno partecipato con proprie relazioni il Prof. Vincenzo Ferrari (Ordinario di Diritto Privato presso la UNICAL), l’On. Federico Massa ed il Prof. Alessandro Cecchi Paone.
Il Venerabilissimo e Potentissimo Sovrano Gran Commendatore del R.S.A.A., Leo Taroni, ha svolto la seguente relazione:
ACCOGLIENZA: UNA SCELTA DETTATA DALL’INTELLETTO
L’immigrazione è un fenomeno fisiologico sovente legato all’evolversi della natura che ci circonda.
Sin dalle origini l’uomo, organizzatosi in nuclei familiari e successivamente, in tribù, sfruttò progressivamente il territorio circostante divenuto conseguentemente insufficiente per soddisfare le aumentate esigenze alimentari e vitali dei membri dei molteplici gruppi i quali dovettero, necessariamente, migrare alla ricerca di nuove risorse alimentari e logistiche.
Anche le mutazioni climatiche sono state le concause di tali migrazioni.
Due eventi storici del passato sono la semplificazione dell’incidenza della natura congiunta agli eventi umani su queste massive migrazioni.
Come dimenticare le traversie affrontate dal popolo d’Israele e la storia dell’Impero romano originariamente aggressivo ed imperialista, come si direbbe oggi, e successivamente impegnato per il contenimento delle pressioni migratorie sulle proprie frontiere, prodotte anche dalle spinte di altri popoli che si spostavano nelle pianure euroasiatiche.
Alle infiltrazioni pacifiche, favorite dalle autorità imperiali sempre alla ricerca di nuovi guerrieri per le proprie legioni, subentrarono le migrazioni armate d’interi popoli che, invadendo l’Impero di Occidente, mutarono il corso della storia.
Noi siamo gli eredi, non degli antichi romani ma dei goti, dei longobardi e dei franchi, romanizzati e legittimati non più dall’autorità imperiale, ma da un potere tanto più grande e forte perché invisibile ed eterno: la Chiesa romana.
Questa è la storia di ieri e la realtà di oggi, che avvertiamo come un pericolo perché ci tocca direttamente.
Agli inizi dello scorso secolo, migliaia di nostri concittadini affollavano i moli dei grandi porti italiani per salutare parenti e amici che si avventuravano in lunghi viaggi verso l’estero alla ricerca di lavoro e di una vita migliore.
Più recentemente, nell’immediato dopoguerra, migliaia di istriani, giuliani e dalmati hanno dovuto abbandonare le proprie case e le piccole proprietà in mano allo straniero -che “armato accampasi sul nostro suol” come scriveva Carducci-, per rifarsi una vita, per riaccendere quella speranza che la follia fascista prima, e l’ingratitudine di settori ben specifici della Patria dopo, aveva spento.
Diversamente, oggi siamo preoccupati dal costante incremento del numero di infelici che in fuga dalla guerra, dalla miseria, da feroci dittature, approdano sulle nostre sponde…
Se fosse soltanto per il desiderio di migliorare la loro vita non farebbero che esercitare un diritto fondamentale sancito dalla Dichiarazione universale dei diritti umani.
Per molti anni, il fenomeno di migrazione di ingenti masse umane, dall’Africa sub sahariana verso l’Europa e l’Occidente, è stata solo una notizia giornalistica perché la Libia di Gheddafi era in grado di contenerlo con mezzi e modi che non preoccupavano l’opinione pubblica, ancorché disumani e scandalosi.
Venuta meno questa crudele barriera, con la crisi politica che l’Occidente ha scatenato in Libia, il fenomeno si è proposto in tutta la sua drammatica realtà.
Ad esso si è aggiunta la fuga delle genti dal Medioriente: da città distrutte dalle artiglierie e dai bombardamenti aerei, senza ospedali efficienti, senza mezzi di sostentamento, senza speranze.
Di fronte a migliaia di persone che intraprendono la rotta balcanica e che sui barconi cercano di raggiungere le nostre coste, le più vicine alla costa africana, l’opinione pubblica si è divisa sulle soluzioni da adottare che, semplificando, possiamo dividere fra quelle favorevoli all’accoglimento e quelle che, con diverse sfumature, propendono per il respingimento.
Il respingimento può significare la morte, la costrizione dei profughi in campi e prigioni di paesi terzi, in condizioni certamente disumane e, recentemente il riaccompagnamento di rifugiati economici nei paesi di origine.
L’Occidente ha un conto aperto con l’Africa e con il Medio Oriente.
Per secoli, il colonialismo ha sfruttato il continente africano ricavando ricchezze immense ma lasciandone i popoli ed i paesi nel caos del post colonialismo.
Tra tutti i tragici avvenimenti che si susseguirono, il genocidio del Ruanda rappresenta uno dei più spaventosi e sanguinosi episodi della storia dell’Africa del XX secolo.
Dal 6 aprile alla metà del luglio del 1994, per circa cento giorni, vennero massacrate sistematicamente (a colpi di armi da fuoco, bastoni e machete) almeno cinquecentomila persone; il numero delle vittime tuttavia è salito sino a raggiungere una cifra pari a circa un milione di persone.
Il genocidio, ufficialmente, venne considerato concluso con un intervento delle truppe francesi, sotto l’egida dell’ONU.
Tra i sostenitori dell’accoglienza si è distinto, con pressanti e forti appelli il Pontefice dichiarando apertamente che “Respingere gli immigrati è un atto di guerra”, e condannando duramente coloro che lo fanno.
Fermo il principio, resta poi la realtà di come gestire il fenomeno: il Pontefice ne è consapevole tanto che, durante un volo che lo riportava in Vaticano, parlando del problema con i giornalisti ha ricordato che i governi devono gestire gli sbarchi usando “prudenza” e valutando, in primis, quante persone si possano accogliere, sapendo che non solo si deve “riceverli, ma anche integrarli”.
Sostanzialmente e sinteticamente, si rendono necessarie:
1.l’apertura di canali di ingresso nei Paesi europei, legali e sicuri;
2.la regolarizzazione, su base individuale, degli stranieri già radicati nel territorio;
3.l’attuazione di misure per l’inclusione sociale e lavorativa di richiedenti asilo e rifugiati;
4.l’effettiva partecipazione alla vita democratica con il voto amministrativo e l’abolizione del reato di clandestinità.
Così come previsto dalla proposta di legge presentata dai Radicali.
Queste, tuttavia, rimarranno solo buone intenzioni, solo parole, se dietro a tutto ciò non ci sarà l’appoggio e l’intervento effettivo della Nazioni Unite e dell’Europa tutta.
Ci vogliono idee, forti e mirati investimenti economici e persone, ma soprattutto capire che l’accoglimento è necessario non solo alla gente che fugge, ma che può essere utile anche a noi, come insegna la simbologia del rituale del IX Grado del R.S.AS.A. nel quale “lo straniero rappresenta tutto l’insieme di conoscenze e di progresso già raggiunto prima di noi, e di cui ci si deve valere per procedere più oltre: un’opportunità per trarre profitto dall’esperienza offerta anche da ciò che non fa parte della nostra Tradizione”.
Senza tenere conto di guerre, dittature sanguinarie, crisi economiche e carestie, è sufficiente scorrere il “Rapporto sull’andamento demografico mondiale” del Dipartimento per gli affari economici e sociali delle Nazioni Unite per leggere il nostro futuro.
A fronte del calo demografico dei paesi europei, in Africa, la Nigeria è lo Stato che crescendo più rapidamente, dovrebbe superare nel 2050 gli Stati Uniti. Contemporaneamente, la popolazione di ventisei Stati africani è destinata a raddoppiare.
Sebbene il tasso di riproduzione femminile sia globalmente diminuito (si partoriscono in media due figli e mezzo per donna) nelle nazioni africane la natalità è di 4,7 figli a donna, mentre in Europa ammonta a 1,6.
Un vecchio film del 1967, intitolato “Indovina chi viene a cena”, interpretato da due grandi attori, Katharine Hepburn e Spencer Tracy, narra la storia di una ragazza americana, cresciuta in un’agiata famiglia “liberal” di San Francisco.
Innamoratasi di uno stimato medico afroamericano, conosciuto dieci giorni prima, decide di portarlo a cena dai propri genitori, invitando senza alcun preavviso anche i futuri suoceri.
Si determina quindi una situazione di notevole imbarazzo, ma è chiaro che la cena è solo un’occasione dalla quale si snoda la vicenda; sono gli anni 60, un’epoca in cui gli Americani hanno forti pregiudizi nei confronti dei “negri”, perciò il Signor Spencer-Draytron, pur impegnato nel sociale per la difesa dei “diritti umani”, alla luce della realtà che gli si manifesta, per la prima volta dubita dei propri principi.
E’ inconcepibile che sua figlia sposi un uomo di colore!
Eppure saprà capitolare proprio per una questione di deontologia personale: non può aver educato sua figlia alla “democrazia” e poi “all’apparir del vero” opporsi se costei la mette in pratica.
Splendido esempio di uomo coerente e lungimirante.
Da allora, infatti, abbiamo già avuto per ben due mandati un Presidente degli Stati Uniti afroamericano, mentre noi, oggi, stiamo ancora a discutere animatamente in Parlamento sullo ius soli e sullo ius culturae.
Certo, non è da tutti possedere i valori etico-sociali del Signor Spencer-Drayton!
E’ proprio per questo che Noi, uomini liberi per antonomasia, che cerchiamo la Luce e spalanchiamo le porte, dobbiamo aprirci allo “straniero” che, come ho già detto, può costituire “per noi” una opportunità ed un momento di crescita.
“Fatti non fummo a viver come bruti ma per seguire virtute e conoscenza”.
In tal senso dobbiamo vivere, operare e tramandare: in caso contrario le più belle dichiarazioni “liberal” ed il tema dei “Diritti umani” di cui si è ampiamente abusato, affonderanno come piombi.
Dobbiamo guardare in faccia la realtà rinunciando ai nostri pregiudizi, organizzandoci tempestivamente per affrontare un futuro che ormai ben conosciamo.
Per il bene dell’Umanità ed alla Gloria del Grande Architetto dell’Universo.
Leo Taroni 33° SGC